Da molti anni conosco Luigi soprattutto attraverso le pubblicazioni delle sue opere, frutto di una continua consapevole ricerca sull’atto stesso del fotografare, inteso come consequenzialità di scatti, non considerati singolarmente, ma come sequenza che li mette in relazione in tempi diversi.
In particolare nei progetti “Interfotogrammi”, “Polifotogrammi”,”Un luogo sull’altro” il rullino fotografico è impressionato più volte in un luogo, quindi riavvolto e lasciato giacere per mesi o addirittura anni in frigorifero, poi ripreso e impresso nuovamente, nello stesso luogo o in un altro ambiente. La sovrapposizione, in parte controllata e predeterminata e in parte casuale, restituisce l’essenza di un’impressione effimera, creando ambiguità tra documento e percezione personale immaginifica. Le immagini risultanti ci introducono nel contesto del reale-immaginario, vero-finto, momento e suo prolungamento. In un gioco ambiguo, i luoghi si rivelano e celano allo stesso tempo. Forse trasmettono la tensione dell’uomo di trovarsi in un posto ma sognarne un altro. La loro stratificazione è lo specchio del nostro sguardo.
Opere uniche che fanno già parte della storia della fotografia, con la presenza in importanti collezioni private e musei italiani e stranieri.
Mi pare utile conoscere la descrizione che Luigi fa di alcuni concetti che ha sviluppato per i suoi progetti:
«Per rappresentare le cose sono necessarie la linea e il limite, così le possiamo catalogare, riconoscere, certificare. La fotografia può comporre un inventario, ma l’immagine inizia là quando subentrano il provvisorio e la fragilità della magia di uno spazio, anche materialmente denso. Sempre instabile e trasparente». (Camera chiara, camera oscura, Milano 2008)
«La mia fotografia è una manifestazione, incompleta, imperfetta, provvisoria, mai una espressione precisa di ciò che rappresenta. Non va oltre il suo accadere che avrebbe potuto essere diverso, poi diverso ancora e in un altro luogo. Deve fare i conti con il suo referente con cui gioca spesso come il gatto con il topo. Dipende tutto dal desiderio e dalla casualità che è una delle più intime espressioni del mezzo».(“Immagini Foto Pratica”, 323 anno XXXI, Milano).
«Mi chiedo se questi paesaggi non possano essere una forma diversa di reportage. Ma poi è un falso problema. La complessità, la contaminazione e la trasversalità dei linguaggi sono ormai già storia. Ogni cosa parte da sè stessa, si ritrova in un’altra, si allontana sempre più, ma può anche tornare al punto d’arrivo, diversa. Il rullino è lo specchio di una metamorfosi, il divenire di una metafora. Anzi la percezione sensoria di più metafore. In fondo io lo uso ancora e senza tanti problemi!»(Nel paesaggio, Lecco-Bergamo 2002).
Interessante conoscere anche due brevi commenti che autori/critici importanti hanno fatto su alcune tematiche dell’opera di Luigi Erba. Così ho scelto di riportare quello di Mario Giacomelli (mancato nel 2000) che insieme ad Erba ed altri autori marchigiani e no tra cui Berengo Gardin ed Enzo Carli, nell’agosto del 1995 ha firmato a Senigallia il Manifesto del Centro Studi Marche “Passaggio di Frontiera”, a cui verrà assegnato nel 2013 il premio Gentile da Fabriano:
“Luigi Erba tende a proporre un sistema di relazioni capaci di spostare i segni tradizionali della visione fotografica verso diversificazioni di ricerca per dare una visione nuova dello spazio, depurato, isolato, per un’immagine inedita diretta ai modelli della verifica sulla realtà. Luigi Erba privilegia il processo di creazione di segni che si organizzano in concetti corrispondenti al movimento del tempo, dal presente al passato, in un sistema che opera sui processi mentali inediti di una creatività aperta tra realtà e rappresentazione in una stratificazione di spazio e tempo che forma il suo geniale linguaggio.» (Mario Giacomelli-Senigallia 1999).
E quella di Alberto Veca, storico e critico dell'arte e docente presso il Politecnico di Milano - Facoltà del Design (mancato nel 2009):
«… Lo sguardo con cui Luigi Erba coglie con l'obiettivo fotografico frammenti eterogenei della realtà che indaga da viaggiatore, è in un primo tempo discreto, quasi reticente a entrare come protagonista, alla ricerca di segnali presenti sulla scena più che all’enfasi o all’originalità dell’inquadratura, capaci di scoprire figure nascoste. E’ uno studio dei “margini”, delle quinte laterali della scena che enfatizzano, forzatamente l’inquadratura adottata, sia che l’indagine si svolga all’interno della stanza, frequentemente quella “in posa” dell’esposizione d’arte figurativa, sia che invece indaghi il paesaggio, in cui i limiti delle “pareti” del fotogramma impegnano in modo determinante la scelta dell’artista…» (Della Riflessione, mostra Uno Scatto Dopo, Seriate 2004).